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Persone fortemente provate dai cambiamenti climatici e che, anno dopo anno vedono decimato il proprio raccolto a causa dell’ incalzare della desertificazione verso sud ad una velocità di 45 Km, con il tuo contributo potranno assicurarsi raccolti più lunghi e avviare attività di micro-credito.

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MICRORTIXYATENGA 1.0- I batteri “buoni” che aiutano la crescita nei terreni aridi: biorisorsa per l’agricoltura e baluardo contro la desertificazione

Nei terreni aridi un’alleanza tra radici e batteri presenti nel sottosuolo aiuta la crescita vegetale anche in condizioni di forte scarsità di acqua.

“L’uomo e la terra sono uno”, dicevano gli antichi saggi orientali, ben consapevoli di quanto siano profondamente collegati e interdipendenti la vita del pianeta e quella dell’uomo. Oggi corriamo seri rischi per la nostra salute a causa del forte inquinamento dell’aria, delle acque e dei suoli. In più lo sfruttamento intensivo dei terreni e l’agricoltura chimica hanno portato a gravi carenze minerali (utilizzare fertilizzanti a base di soli due, tre minerali crea squilibri e impoverisce fortemente il terreno di microelementi e sostanze vitali), fino alla desertificazione di migliaia e migliaia di ettari. Questo fenomeno è iniziato in America e ora si diffonde in modo preoccupante anche in Europa (Grecia, Sicilia, Sud Italia). In più i cibi sono ulteriormente impoveriti di nutrienti per i processi di eccessiva raffinazione (riso brillato, zucchero, farina bianca, ecc.) e resi tossici per l’aggiunta di sostanze chimiche dannose.


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I batteri promotori della crescita vegetale appartengono ad una classe eterogenea di batteri che vivono in associazione con numerosi modelli vegetali, colonizzandone la rizosfera, quella porzione di suolo a diretto contatto con le radici, e l’endosfera, costituita dai tessuti vegetali. Tali microrganismi sono in grado di promuovere la crescita vegetale in condizioni di stress tramite modulazione dell’omeostasi ormonale della pianta, migliorandone lo stato nutrizionale in termini di acquisizione di micro e macro-nutrienti e proteggendola dall’attacco di fitopatogeni.

Studi molecolari e microbiologici, effettuati da un team internazionale coordinato da Daniele Daffonchio per l’Università degli Studi di Milano, da Ameur Cherif per l’Università di Tunisi El Manar e da Ayman Abou-Hadid per l’Università del Cairo Ain Shams[1], hanno documentato la biodiversità microbica associata a piante di peperone coltivate in un’azienda tradizionale a nord del Cairo, in Egitto, confrontando il microbioma della rizosfera e dell’endosfera con quello del suolo arido non coltivato.  Lo studio[2], pubblicato sulla rivista internazionale Plos One nel 2012, ha evidenziato che le pratiche agricole messe in atto dai contadini egiziani arricchiscono il suolo coltivato di batteri benefici con ampie capacità di promozione della crescita vegetale. I saggi di coltivazione effettuati simulando le condizioni di siccità evidenziano che i batteri benefici proteggono le piante dagli effetti deleteri dello stress idrico. Già dopo otto giorni dall’induzione dello stress, le piante trattate con i batteri mantengono la turgidità del fusto e mostrano un’efficienza fotosintetica significativamente più elevata rispetto alle piante non fertilizzate. Dopo 12 giorni di stress, la biomassa radicale incrementa del 40% e la lunghezza delle radici del 20%, indicando che la resistenza alla siccità è legata alla promozione, mediata dai batteri, di un apparato radicale più esteso.

Lo studio evidenzia come il “desert farming”, basato sulle pratiche colturali tradizionali e sull’ uso virtuoso della risorsa idrica, arricchisce il suolo di batteri “probiotici” per le piante in condizioni di stress idrico. I risultati della ricerca svelano le potenzialità, finora inesplorate, degli ambienti aridi e desertici per la selezione di biofertilizzanti.


In contrasto alla desertificazione, che è riconosciuto come una grave minaccia per la biodiversità, convertire terre aride in suoli produttivi e in paesaggi verdi è una visione globale di risposta competente all’ insicurezza alimentare e il cambiamento climatico. L’ agricoltura in zone aride richiede in genere una massiccia irrigazione dei campi, da ciò ne deriva l’insostenibilità di tale pratica in aree dove l’approvvigionamento idrico è precario. Sistemi di agricoltura sono già stati sviluppati in paesaggi aridi dalle civiltà antiche, ma al giorno d’oggi, c’è una sempre più crescente necessità, su larga scala, di coltivare il deserto per sfamare la popolazione in crescita.

Nei campi interessati dal progetto “MICRORTIXYATENGA”, nel nord del Burkina Faso, caratterizzato dalla progressiva perdita di suolo fertile a causa della desertificazione, i batteri promotori della crescita vegetale adattati a condizioni di aridità si propongono come una risorsa sostenibile per l’agricoltura e rigenerativa per l’ecosistema.


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“Insieme non avviamo solo agriCULTURA ma anche tecniche di conservazione del suolo, dell’acqua e di rigenerazione naturale assistita, garantendo agli abitanti dei villaggi di Baporè, Rikou e Gourga raccolti più’ lunghi e prosperi per la propria sicurezza alimentare!”

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Note:
[1] Università degli Studi di Milano: Daniele Daffonchio, Ramona Marasco, Eleonora Rolli, Francesca Mapelli, Sara Borin e Claudia Sorlini, DeFENS (Dipartimento per le Scienze, la Nutrizione e l’Ambiente); Gianpiero Vigani e Graziano Zocchi, DiSAA (Dipartimento per Dipartimento di Scienze Agrarie e Alimentari- Produzione, Territorio, Agroenergia). Università di Tunisi El Manar, Tunisia: Ameur Cherif e Besma Ettoumi. Università del Cairo Ain Shams, Egitto: Ayman F. Abou-Hadid e Usama A. El-Behairy.
[2] Lo studio è stato reso possibile grazie al finanziamento della Commissione Europea con il progetto BIODESERT (n° 245746, “Biotechnology from desert microbial extremophiles for supporting agriculture research potential in Tunisia and Southern Europe”) e del MIUR con il progetto FIRB (n? RBIN047MBH, “Strategie per migliorare le rese di piante di interesse alimentare in condizioni di stress idrico”)
Fonti:
RESEARCH ARTICLE: “Desert Farming Benefits from Microbial Potential in Arid Soils and Promotes Diversity and Plant Health”, Martina Köberl, Henry Müller, Elshahat M. Ramadan, Gabriele Berg – 2011 http://dx.doi.org/10.1371/journal.pone.0024452

18 DICEMBRE 2016 – GIORNATA INTERNAZIONALE DEI MIGRANTI

MICRORTI X YATENGA: Agire localmente per arginare le migrazioni forzate, mitigando i disastri naturali e adattandosi ai cambiamenti climatici in atto.


Attraverso questo focus, in occasione GIORNATA INTERNAZIONALE DEI MIGRANTI, vogliamo contribuire a informare e sensibilizzare sulle conseguenze migratorie scaturite dai fenomeni ambientali estremi che stanno segnando l’umanità del secolo in corso, al fine di creare un terreno fertile per il riconoscimento del fenomeno delle migrazioni dovute dai cambiamenti ambientali e quindi dello status di rifugiato ambientale. Parallelamente è necessario ridurre gli effetti del riscaldamento globale attraverso una graduale riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. Siamo fermamente convinti che il fenomeno migrazione ambientale è un fenomeno che ci riguarda da vicino e del quale dobbiamo prenderci la responsabilità per tutelare il futuro del nostro Paese e dell’intero Pianeta. 


Focus. Nel 2012 sono stati moltissimi i disastri che hanno colpito il nostro Pianeta. In televisione, su internet e sui giornali abbiamo visto le immagini di abitazioni distrutte da cicloni e tornado, i video di persone che tentano di raggiungere i tetti delle proprie case per sfuggire alle inondazioni, le testimonianze di lavoratori incapaci di coltivare la propria terra e allevare il loro bestiame a causa della siccità. Secondo i dati del CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) nel solo 2012, si sono verificate 310 calamità naturali che hanno portato 9.330 decessi, 106 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari. Anche se ormai c’è un ampio consenso dell’opinione scientifica internazionale sul fatto che un aumento dei rischi ambientali è strettamente collegato al cambiamento climatico conseguenza delle attività umane, c’è meno accordo su quali saranno i probabili impatti sulle attività umane compresa la migrazione umana.

Di fronte all’impatto delle catastrofi, che ogni anno colpiscono la Terra, non sempre è possibile adattarsi e spesso milioni di donne, uomini e bambini sono costretti a fuggire dai propri Paesi in cerca di condizioni di vita migliori e più salubri. Questi sono i migranti ambientali. Non è più possibile non riconoscere che queste persone sono vittime di eventi climatici estremi provocati dal cambiamento climatico che a sua volta è causato anche dall’attività umana.

L’ultimo rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre pubblicato nel maggio 2013 afferma che nel 2012 sono state 32,4 milioni nel mondo le persone costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali. Al di là delle disquisizioni su chi sono i “profughi ambientali”, “rifugiati ambientali”, “migranti ambientali”, “persone forzate ad emigrare”, “eco profughi” e su quale sia il driver principale a guidarli nella scelta di migrare, riteniamo che sia fondamentale parlare del problema per far si che i decisori politici inseriscano questo tema nelle loro agende politiche.

Le previsioni per il futuro sono alquanto allarmistiche. Secondo lo scienziato Mayer, entro il 2050 si raggiungeranno i 200/250 milioni di rifugiati ambientali e secondo il Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) nel 2060 in Africa ci saranno circa 50milioni di profughi climatici. Ancora più pessimiste, le stime del Christian Aid che prevede circa 1miliardo di sfollati ambientali nel 2050. Tenendo in considerazione l’enorme numero, attuale e futuro, di evacuati per cause ecologiche il XXI secolo potrebbe essere definito come il “Secolo dei rifugiati ambientali”, nonostante il termine non sia ancora riconosciuto dalle leggi internazionali. È importante che le istituzioni, e i cittadini di tutto il mondo comprendano l’interdipendenza che lega le comunità umane e il loro ambiente di vita, ma anche le comunità umane tra loro. Una maggiore consapevolezza rispetto a queste connessioni può portare ad evidenziare le nostre responsabilità rispetto alle altre comunità che abitano la nostra Terra. Preconcetti e disinformazione alimentano un clima di tensione, se non di aperto razzismo, nei confronti dei migranti che arrivano nel nostro Paese alla ricerca di migliori condizioni di vita, spesso costretti a lasciare le proprie case a causa di fenomeni ambientali (siccità, alluvioni, perdita di fertilità dei terreni, desertificazione) che hanno nelle attività antropiche la loro causa. Conoscere queste cause e riconoscere la nostra responsabilità nel determinarle dovrebbe spingere tutti a sviluppare un maggior senso di accoglienza, comprensione e sostegno nei confronti dei rifugiati ambientali. Nel contempo, è importante trasmettere il messaggio che un cambiamento verso la sostenibilità è possibile, che possiamo e dobbiamo agire localmente, a partire da noi stessi e dalle nostre abitudini, per ottenere una trasformazione globale.


Agisci per arginare le migrazioni forzate: sostieni MICRORTI X YATENGA!

Un progetto che ha scelto di rispondere alle avversità di un territorio fortemente stravolto dai cambiamenti climatici e dall’avanzare della desertificazione. Insieme ai contadini del Burkina Faso abbiamo scelto di agire localmente e in maniera comunitaria per rispondere in modo resiliente a al disagio ambientale; abbiamo scelto di promuovere un modello olistico di sviluppo organico progettato dal basso, dapprima a conduzione familiare e poi comunitario,  applicabile sia per il re-greening dell’area attraverso modelli pianificati di agro-ecologia a conduzione familiare e sia per la restaurazione di forme di reddito di sostentamento comunitario.

Scopri come fare visita la pagina dedicata:

MICRORTI X YATENGA


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Fonte:

-Legambiente, Profughi Ambientali Cambiamento climatico e migrazioni forzate: http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/dossier_profughi_ambientali_1.pdf

ORTOmetro MICRORTI X YATENGA

Controlla L’ORTOmetro  e scopri quanti mq di orti sono stati donati!

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ABBIAMO RAGGIUNTO 12 mq di orti

e fornito alle famiglie del distretto di Yatenga

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Quest’anno a Natale dona un M I C R 0 R T O!

Il progetto mira alla realizzazione di 50 microrti rurali, di 500mq ognuno, a conduzione familiare per l’autosufficienza alimentare delle famiglie che nei villaggi del nord del Burkina Faso anno dopo anno vedono decimato il proprio raccolto a causa delle desertificazione. I 50 microrti rurali vogliono porsi come esempio da seguire per le colture di sussistenza delle famiglie locali. Insieme ai contadini del Burkina Faso promuoveremo un modello olistico di sviluppo organico progettato dal basso, dapprima a conduzione familiare e poi comunitario, applicabile sia per il re-greening dell’area attraverso modelli pianificati di agro-ecologia a conduzione familiare e sia per la restaurazione di forme di reddito di sostentamento comunitario.

“Insieme non avviamo solo agriCULTURA ma anche tecniche di conservazione del suolo, dell’acqua e di rigenerazione naturale assistita, garantendo agli abitanti dei villaggi di Baporè, Rikou e Gourga raccolti piu’ lunghi e prosperi per la propria sicurezza alimentare!”

Scopri il progetto alla pagina dedicata:

MICRORTI X YATENGA

ANALISI AMBIENTALE PROGETTO IRPINIA RESILIENTE 1.0

Ricerche condotte da Dunia permaculture sul consumo del suolo nell’ ambito del progetto di Rigenerazione rurale in permacultura per un’ Irpinia resiliente realizzato dalle associazioni Dunia permaculture ONLUS e Terre Narranti d’Irpinia.

Premessa generale. Il contenuto in sostanza organica è uno dei parametri cruciali di qualità dei suoli: da esso dipendono la fertilità chimica, fisica e biologica, e quindi i processi produttivi agroforestali, ma anche i funzionamenti idraulici e autodepurativi delle coperture pedologiche, nonché l’entità del rischio di erosione dei suoli nelle sue diverse forme. È ragionevole ritenere che gli obiettivi di innalzamento del contenuto attuale in sostanza organica del suolo possano assumere rilevanza in una porzione consistente delle aree destinate a colture arative (seminativi, arboreti specializzati) situate nei sistemi collinari e di pianura del territorio regionale.
L’urbanizzazione dei suoli agricoli (land take), e la loro conseguente impermeabilizzazione (soilsealing) sono oramai identificate in sede comunitaria come le principali minacce alla vitalità e integrità dei paesaggi rurali europei. Gli impatti della trasformazione urbana di suoli sono molteplici, e sono legati alla sottrazione irreversibile di una risorsa – il suolo – la cui fertilità è il prodotto di processi di lunga durata, con la conseguente perdita dei servizi ambientali fondamentali legati alle molteplici funzioni del suolo di supporto degli ecosistemi, di produzione alimentare e di biomasse, di regolazione dei cicli idro-geochimici, di immagazzinamento della CO2 ecc..

Rapporto Campania. Il processo è particolarmente attivo in Campania, a causa dell’elevata concentrazione e densità demografica che contraddistingue importanti porzioni del territorio regionale, e della complessiva debolezza del sistema di governo pubblico del territorio. La superficie complessiva delle aree urbanizzate della Campania è passata nel periodo 1960-2009 da 22.251 a 112.412 ettari, con un incremento del 402%, a fronte di una crescita demografica del 21,2%. In Campania ogni anno vengono urbanizzati circa 1.800 ettari di suoli agricoli, 5 ettari al giorno. E’ come se ogni quattro anni in Campania venisse costruita un’area urbanizzata pari a quella del comune di Napoli. Le cause della divaricazione tra la crescita urbana e quella della popolazione sono riconducibili ai cambiamenti della struttura demografica, con l’aumento del numero delle famiglie e la diminuzione della loro composizione media; come anche all’incremento della domanda pro-capite di suolo per abitazioni, infrastrutture, servizi, attrezzature, legato alla crescita complessiva del tenore di vita del paese o come nel caso dell’Irpinia legato ad un forte spopolamento demografico.

Rapporto STR- Colline dell’Alta Irpinia. Come si evince dalla lettura dei dati riportati in tabella sul consumo del suolo urbanizzato pro-capite, il sistema territoriale delle colline dell’alta Irpinia dispone di una superfice urbanizzata pari a 721,6 mq ad abitante. L’Alta Irpinia è il sistema territoriale con superficie territoriale pro-capite più elevata ma con la popolazione più bassa in assoluto pari a 22.010,0.
Il divario fa pensare ad un territorio sviluppato ma soprattutto con un efficiente rete e strutture di servizi per la popolazione. Chi abita il territorio non conosce, purtroppo, in questi dati l’efficienza dei servizi e delle infrastrutture ma un forte spopolamento del territorio avviata negli anni della post industrializzazione del mezzogiorno incentivata dal fallimento di una politica di sviluppo poco attenta alle reali necessità del territorio e che ha portato gradualmente all’abbandono del territorio e dell’edificato. Questo ha fatto si che la popolazione ad oggi è in deficit mentre il fabbricato urbano è fortemente in surplus.

_mg_5605Calitri (Avellino)

C’è un ulteriore aspetto, legato alla qualità del nuovo sviluppo urbano. Nella maggior parte delle aree di pianura e collinari del territorio regionale, i processi di urbanizzazione diffusa, a bassa densità (dispersione urbana, sprawl), sono aumentati più velocemente di quelli legati alla crescita degli insediamenti accentrati che costituivano l’impianto urbano storico, preesistente al 1955. Gli effetti negativi di questo modello di crescita sono legati, oltre che al consumo irreversibile di suoli fertili, alla frammentazione del territorio rurale ad opera del tessuto urbano e della maglia infrastrutturale. In questi sistemi, considerati nel loro complesso, secondo i dati della Carta regionale di uso del suolo (CUAS,2009) la superficie urbanizzata occupa il 18,7% della superficie territoriale complessiva, lo spazio agricolo rurale il restante 81,3%.

Linee d’azione. Pertanto nel considerare i fattori di consumo del suolo è importante considerare il ruolo fondamentale del settore agricolo e zootecnico come fattore chiave per la risoluzione di un piano d’azione efficace. È evidente che il territorio è fortemente provato da un agricoltura fortemente vocata a colture cerealicole secondo tecniche intensive e ad un allevamento di bestiame che non tiene conto del corretto smaltimento-riciclo-riuso dei reflui zootecnici.

estate-in-irpinia-2016Valle Ufita: Cerealicoltura intensiva

È di primaria urgenza partire dalla rigenerazione dei suoli e dalla ristrutturazione dell’agro-bio-diversità del sistema territoriale Irpino intervenendo sulle attività antropiche più di rilievo nell’area come l’agricoltura e l’allevamento fortemente provate dal rapido impoverimento dei suoli causato da una coltura intensiva diffusa caratterizzate da utilizzo di nitrati e dispersione di azoto e da una mal gestione delle acque reflue che hanno determinato il cosiddetto fenomeno della salinizzazione dei suoli unito al dilavamento di esso.

ferrara-copertina-700x400Irpinia allevamenti bovini
Fonti:
  • R a p p o rt o A m b i e n t a l e a i s e n s i d e l l a D i r e t t i v a 4 2 / 2 0 0 1
  • Regione Campania – Servizio Geologico e Difesa del Suolo

Analisi ambientale progetto Irpinia resiliente 2.0

Ricerche condotte da Dunia permaculture sull’individuazione dell’inquinamento da nitrati di origine agricola nell’ ambito del progetto di Rigenerazione rurale in permacultura per un’ Irpinia resiliente realizzato dalle associazioni Dunia permaculture ONLUS e Terre Narranti d’Irpinia.

Premessa generale. La tutela delle risorse idriche dall’inquinamento da fonti diffuse costituisce un problema rilevante, in campo ambientale, su tutto il territorio nazionale. In particolare, i nitrati di origine agricola rappresentano una componente rilevante dell’inquinamento derivante da fonti diffuse, che interessa le acque interne e marine.

Il sistema agricolo è uno dei settori produttivi più idro esigenti e con l’uso di nutrienti, fertilizzanti e prodotti fitosanitari, determina un impatto rilevante sul territorio e sulle risorse idriche. L’ultima edizione del Relazione sullo Stato dell’Ambiente (RSA 2001) presentata dal Ministero dell’Ambiente al Parlamento riferisce di un uso di più di 4.600.000 tonnellate di concimi contenenti N, P e K cui corrispondono circa 890.000 t. d’azoto con un impiego medio intorno ai 53 kg di azoto per ettaro. La distribuzione geografica di tali apporti di nutrienti è molto diversificata giungendo in certe province della valle padana ad apporti tali da generale un surplus (azoto non utilizzato e, quindi, dilavato) di più di 200 kg/ettaro.
A questi apporti si aggiungono quelli della zootecnia e degli insediamenti civili e industriali
attraverso un persistente deficit di depurazione o un inadeguato funzionamento dei depuratori esistenti, nonostante i grandi investimenti realizzati nel settore. La situazione è, comunque, in via di miglioramento con la realizzazione d’importanti sistemi di depurazione nell’ area milanese e fiorentina, che risultano essere zone sensibili.
I nitrati sono stati normati fin dal 1980, fissando i limiti classici dei 25 mg/L come valore guida e di 50 mg/L come concentrazione massima ammissibile nelle acque destinate al consumo umano. Il Dobriss Assessment del 1995 conferma che l’87% delle zone agricole europee presenta concentrazioni superiori al valore guida e il 22% presenta valori superiori alla CMA.
Anche in Italia l’elevato prelievo d’acque per uso irriguo e l’uso elevato di fertilizzanti, sommandosi alle carenze depurative, comporta un inquinamento diffuso da nitrati con effetti specifici nelle aree sensibili soggette o potenzialmente soggette al fenomeno dell’eutrofizzazione.

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Acque superficiali eutrofe
(L’eutrofizzazione è un processo degenerativo dell’ecosistema acquatico dovuto all’ eccessivo arricchimento in nutrienti, in  dell’ecosistema stesso tale da provocarne un’alterazione dell’equilibrio).

Infine l’estensione delle zone vulnerabili da nitrati spiega la frequenza con cui si riscontrano nitrati al di sopra della Concentrazione Massima Ammissibile nelle acque sotterranee. I nitrati sono spesso in questi casi la causa principale di uno stato qualitativo non buono delle acque sotterranee che, occorre ricordare, costituiscono di gran lunga la fonte primaria per la produzione di acqua potabile.

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Agricoltura tradizionale in Irpinia (foto fonte: Paesaggi Irpini)

Rapporto Irpinia. L’Alta Irpinia è il sistema territoriale con superficie territoriale pro-capite più elevata ma con la popolazione più bassa in assoluto pari a 22.010,0. Il divario fa pensare ad un territorio sviluppato ma soprattutto con un efficiente rete e strutture di servizi per la popolazione. Chi abita il territorio non conosce, purtroppo, in questi dati l’efficienza dei servizi e delle infrastrutture ma un forte spopolamento del territorio avviata negli anni della post industrializzazione del mezzogiorno incentivata dal fallimento di una politica di sviluppo poco attenta alle reali necessità del territorio e che ha portato gradualmente all’abbandono del territorio e dell’edificato. Questo ha fatto si che la popolazione ad oggi è in deficit mentre il fabbricato urbano è fortemente in surplus.

In sistemi come l’Irpinia, considerati nel loro complesso secondo i dati della Carta regionale di uso del suolo (CUAS,2009), la superficie urbanizzata occupa il 18,7% della superficie territoriale complessiva mentre lo spazio agricolo rurale il restante 81,3%.

Nel considerare i fattori di consumo del suolo è importante considerare il ruolo fondamentale del settore agricolo e zootecnico come fattore chiave per la risoluzione di un piano d’azione efficace. È evidente che il territorio è fortemente provato da un agricoltura perlopiù vocata a colture cerealicole secondo tecniche intensive e ad un allevamento di bestiame che non tiene conto del corretto smaltimento-riciclo-riuso dei reflui zootecnici.

Quando il territorio è caratterizzato da colture seminative o colture intensive in genere,  pascolo e allevamento secondo un agricoltura di tipo convenzionale, oltre ad un inquinamento di falda per via del dilavamento del suolo, è necessario considerare l’utilizzo di pesticidi/fertilizzanti soprattutto nitrati come principale fonte inquinante silente e intangibile all’uomo.

Come infatti si evince da un analisi del “Programma di Azione Nitrati della Regione Campania” il 12,8% del territorio irpino presenta valori allarmanti a tale fenomeno secondo le direttive europee vigenti in materia. I restanti comuni riportano valori sotto la soglia ammissibile, ma in maniera lieve sono comunque interessati dal fenomeno.

È di primaria urgenza partire dalla rigenerazione dei suoli e dalla ristrutturazione dell’agro-bio-diversità del sistema territoriale Irpino intervenendo sulle attività antropiche più di rilievo nell’area come l’agricoltura e l’allevamento fortemente provate dal rapido impoverimento dei suoli causato da una coltura intensiva diffusa caratterizzate da utilizzo di nitrati e dispersione di azoto e da una mal gestione delle acque reflue che hanno determinato il cosiddetto fenomeno della salinizzazione dei suoli unito al dilavamento di esso.

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Territorio rurale Irpino interessato da coltivazione cerealicola intensiva (foto fonte: Paesaggi Irpini)
Fonte:
Rapporto ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale “L’inquinamento da nitrati di origine agricola nelle acque interne in Italia”- 2005
– ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale “Inquinamento antropico di acque e suoli in Italia”- 2016
-Programma di azione nitrati Regione Campania “Direttiva Nitrati – applicazione della Dir. CEE 91/676”
-Programma di azione nitrati Regione Campania, rapporto “Zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola”

IL CORRIDOIO VERDE DEL SAHEL

Nel Sahel la terra è in gran parte semi-deserta, con solo 4-3 mesi di pioggia l’anno. Prima degli anni 70′ l’erba era sufficiente al mantenimento delle mandrie dei nomadi, e nelle regioni del sud si coltivavano miglio e sorgo, oltre a prodotti per la vendita come arachidi e cotone. Nel 1970, appena prima del collasso, questo ambiente fragile sosteneva una popolazione di 24 milioni di persone e di circa altrettanti animali; un terzo più di persone e circa il doppio di animali, rispetto a 40 anni prima.

L’agente del cambiamento è stata la siccità iniziata nel 1968 o oggi spaventosamente incalzante. Certamente le variazioni climatiche hanno avuto il loro ruolo in questa desertificazione che avanza verso sud ad una velocità di 30 miglia l’anno. Ma la causa principale è l’uomo. L’inizio della desertificazione si può individuare nella colonizzazione francese del 19o secolo quando le popolazioni del Sahel persero con l’indipendenza politica il controllo del loro territorio e dei loro pozzi.
Il Sahel era stato un tempo importante e fiorente. Cruciale per la vita nel Sahel era stata la grande capacità di adattamento all’ambiente semideserto. Fra i nomadi ed i contadini c’era una situazione di tipo simbiotico: le mandrie nei campi si nutrivano di ciò che rimaneva dopo il raccolto ed allo stesso tempo li concimavano. In cambio per il concime i nomadi ricevevano miglio dagli agricoltori.
Con le prime piogge l’eraba ricominciava a crescere e le mandrie si muovevano verso nord seguendo l’andamento delle piogge. Quando veniva raggiunto la frontiera nord del Sahel, si ricominciava il cammino verso sud, durante il quale si mangiava l’erba che nel frattempo era ricresciuta. All’arrivo nei terreni in cui si stava durante la stagione secca (8-9 mesi), le mandrie trovavano erba matura che permetteva loro di sopravvivere fino alla successiva stagione delle piogge. I percorsi seguiti ed il tempo passato intorno ad ogni pozzo erano fissati da regole tradizionali decise dai capi tribali, in modo da evitare il sovrasfruttamento dei pascoli. Questo evitava anche rischi di conflitti fra gruppi tribali e minimizzava il rischio di malattie. Una analoga saggezza avevano gli agricoltori. Sapevano lasciare la terra a maggese per lunghi periodi (fino a 20 anni) prima di ricoltivarla, ed avevano sviluppato una straordinaria quantità di varietà delle loro colture tradizionali, miglio e sorgo, ciascuna adatta a diverse stagioni e situazioni. Nei secoli passati la popolazione del Sahel ha dimostrato una impressionante capacità di innovazione.

Gli interventi occidentali sono stati vari: l’introduzione di un’economia basata sul denaro, la divisione del Sahel in stati diversi, con i conseguenti tentativi di sedentizzare i nomadi, di ridurne la libertà di movimento ed i passaggi attraverso i confini. Un grande impatto ha avuto l’aumento della popolazione sia umana che di animali dovuta all’introduzione della medicina occidentale. la popolazione del Sahel sta crescendo ad un tasso del 2.5% (si parla sempre del 1974), fra i più elevati nel mondo. Se i nomadi avessero accettato di uccidere più animali da vendere nel mercato, allora la popolazione di animali sarebbe stata contenuta. Il fatto è che gli animali sono il solo strumento di risparmio che il nomade ha, e quindi ha senso, a livello individuale, il mantenere il massimo numero di animali. Il risultato è stato che fra il 1960 ed il 1971 il numero dei bovini è cresciuto dai 18 ai 25 milioni, mentre il numero ottimo, secondo la Banca Mondiale, sarebbe di 15 milioni.
Contemporaneamente anche gli agricoltori sovrasfruttavano la terra. La crescita della popolazione e l’estendersi delle piantagioni di prodotti per l’esportazione (monocultura) ha portato alla coltivazione di terre marginali ed alla riduzione del tempo di maggese, da 15-20 anni a 1-5 anni. Così la fertilità declina, il suolo è più esposto a sole e vento, e comincia a perdere la propria struttura.
La pioggia quando arriva non è più assorbita e scorre via. Ci`o che le monoculture hanno fatto per l’agricoltura, i pozzi artesiani hanno fatto per l’allevamento. Sotto la superficie a circa 1000 piedi c’è la falda ricca di acqua. Migliaia di pozzi (a 200,000 dollari l’uno) sono stati scavati da benintenzionati donatori. L’effetto è stato quello di far sì che il pascolo, invece dell’acqua, diventasse il principale fattore limitante della dimensione delle mandrie. Ciò ha portato ad un sovrasfruttamento dei pascoli ed alla loro distruzione. Un numero crescente di animali ha finito per mangiare l’erba fino a danneggiare le stesse radici. C’è stato anche il problema della riduzione dei pascoli a causa dell’aumento dei terreni coltivati.

Presumibilmente quello che è successo è stato l’effetto congiunto di pi`u fenomeni: il rompersi degli equilibri tradizionali, l’aumento della popolazione, la minore limitazione alla dimensione delle mandrie dovuta ai pozzi. Questo ha fatto sì che il desiderio dei nomadi di non ridurre o di accrescere le loro mandrie abbia portato alla distruzione della risorsa pascolo. L’incremento del numero dei bovini da 18 a 25 milioni in una decina di anni è una conferma di questo.

La desertificazione è stata anche aumentata dal pesante taglio di legna per l’esportazione di legni pregiati.

Gli attori:

• Gli allevatori nomadi

• I contadini

• La Francia, potenza coloniale

• I paesi donatori e le loro Ong

• Le organizzazioni internazionali (Banca Mondiale)

Come in molti altri casi, anche qui il sistema tradizionale di gestione del potere e delle relazioni fra gli allevatori, e fra questi e gli agricoltori aveva nel tempo sviluppato un sistema efficiente e sostenibile di gestione delle risorse comuni. La rottura di questo sistema (confini, cambiamenti nell’agricoltura, . . . ), insieme all’aumento delle popolazioni e alla relativamente maggiore disponibilità di acqua, ha portato ad una maggiore competizione nell’uso delle risorse, ad un accrescimento delle mandrie, ed in presenza di una prolungata siccità ad un sovrasfruttamento dei pascoli.

Guarda il video:

Expanding Africa’s Great Green Wall

Il Corridoio Verde del Sahel è un progetto che mira a combinare i bisogni della comunità con le esperienze tecniche e scientifiche fin ora avanzate nella lotta contro la desertificazione delle zone aride, al fine di selezionare le specie autoctone adatte su grande scala al restauro  del capitale naturale. Questo è l’approccio che ha avuto successo nel Sahel come parte del programma “Grande Muraglia Verde dell’Africa”. Uno scudo ‘ecologico’ formato da oltre 7mila chilometri di alberi, da Dakar a Gibuti per fermare l’avanzata del deserto. La ‘Grande Muraglia Verde’ e’ l’ambizioso progetto su cui lavorano undici Paesi africani dell’area sahelo-sahariana, riuniti a Ndjamena, la capitale del Ciad, per fare il punto sugli sviluppi dell’inziativa. Un vertice quello dei capi di Stato e di governo dell’Agenzia panafricana della ‘Grande Muraglia Verde’, che si svolge sotto l’egida dell’Unione africana e della Comunita’ dei Paesi dell’area sahelo-sahariana, Cen-Sad, che punta a dare una risposta ‘africana’ al problema della desertificazione.

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fonte:
  • Desertificazione del Sahel , Dipartimento di Informatica Università di Pisa:
    • A System Dynamics Study in Pastoral West Africa
    • Sahelian Drought: No Victory for Western Aid (1974)
  • Community participation and ecological criteria for selecting species and restoring natural capital with native species in the Sahel (Restoration Ecology, The journal of the society for ecological restoration)

Dunia Farm: consenso comunitario

Dopo un attenta e lunga valutazione da parte delle comunità locali il progetto “Dunia Farm” è stato riconosciuto come reale opportunità di cambiamento per il risollevamento della comunità stessa e delle proprie attività di sussistenza. Per produrre abbondanza si è scelto di partire proprio dal suolo che, se in salute, supporta il sano sviluppo di qualsiasi organismo e la stessa rigenerazione di una florida foresta ormai quasi estinta. Il progetto è composto da due azioni fondamentali:
L’accesso al reddito per le popolazioni locali e re-greening dell’area impiegando specie arboree e seminative utilizzabili non solo per la produzione di oli alimentari /cosmetici e biodisel come fonte di reddito per la comunità locale ma anche per la rigenerazione eco-sistemica. Verranno, infatti, impiantate specie alboree capaci di svolgere multiple funzioni.

Dagli studi per un attento design permaculturale è risultato necessario rispondere a due distinte esigenze apparentemente sconnesse: una ambientale di rigenerazione agroecologica, l’altra socio-economica per l’accesso a un reddito minimo di sussistenza per la comunità locale. In un epoca in cui il valore ecologico non corrisponde quasi mai ad un uguale valore economico, l’attento studio della flora spontanea locale è stata la chiave per una soluzione univoca e plurifunzionale.

La natura ancora una volta ci ha suggerito la soluzione! Nella selezione di essenze spontanee locali azoto-fissatrici per la rigenerazione del suolo è emersa la duplice valenza leguminose-olifere di specie come: la Moringa, il Nerè (Parkia biglobosa), Faidherbia albida, Soia , Colza, Arachide.  Già utilizzate dalle popolazioni locali come rimedio naturale contro alcune patologie, per alimentazione o come olio cosmetico risultano di fondamentale importanza proprio per le plurime azioni svolte e per i numerosi utilizzi possibili. Si è scelto, quindi, di valorizzare le proprietà di queste essenze per la produzione di oli alimentari e bio-disel per sopperire alle necessità alimentari ed energetiche della comunità stessa, e per la produzione di oli ed essenze per la cosmesi sfruttando il surplus di produzione come merce di scambio o vendita esterna. Il prossimo step infatti sarà proprio la donazione alle comunità di una Macchina SPREMITRICE per l’avvio di un piccolo laboratorio di trasformazione dei semi oleosi di cui già dispongono in loco.  Gli orti, invece, sono già in via di conversione applicando tecniche locali come gli Zai e le mezze lune fertili capaci di sfruttare le capacità di trattenere acqua delle aiuole coltive concave e di contrastare l’evaporazione con colture permanenti di copertura del suolo o pacciame secco.

Ed è grazie alla prima raccolta fondi dal basso e al riconoscimento delle comunità locali della forte valenza sociale e ambientale del progetto, che lo scorso giugno è nata l’associazione A.F.P.A.B.Y Association des Femmes pour la Promotion de l’Agriculture et le Beurre de Karitè du Yatenga con sede nella città di Ouahigouya fondata da perlopiù donne raccoglitrici e agricoltrici che insieme hanno deciso di sviluppare il progetto “Dunia Farm” nei loro campi.  Grazie alle donazioni ricevute Dunia Permaculture ha potuto appoggiare e sostenere il grande lavoro fatto fin ora dai collaboratori in Burkina Faso per la sensibilizzazione e l’informazione delle comunità. E’ stato inoltre possibile sostenere l’acquisto di sementi organiche non OGM messe già a dimora prima della stagione piovosa.

Dunia Permaculture e  l’associazione A.F.P.A.B.Y in Burkina Faso ringraziano infinitamente quanti hanno scelto e sceglieranno in futuro di sostenere il progetto incoraggiandoci e donandoci il forte slancio per questo lungo percorso verso la sostenibilità!

Noi d’altro canto siamo felicissimi di poter avviare un modello di sviluppo ideato dalle famiglie della comunità per la comunità stessa, costruito insieme poco alla volta. Sostenibile per la comunità e insieme per l’ambiente.

Grazie!

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Dunia permaculture per lancio petizione PEOPLE4SOIL

Dunia permaculture cerca volontari per prossima petizione PEOPLE4SOIL

Chiunque abbia voglia di impegnarsi nella petizione per #PEOPLE4SOIL  che Dunia Permaculture avvierà a settembre può contattarci. Essere parte attiva per la protezione del suolo vuol dire salvaguardare il proprio futuro e quello delle generazioni future!

E’ il momento di salvare i suoli in Europa: per l’iniziativa di cittadini PEOPLE4SOIL il lancio atteso per settembre

Oltre 300 organizzazioni chiedono alla UE una direttiva per difendere il suolo da degrado e contaminazioni e fermare il consumo di suolo

 

L’iniziativa dei cittadini europei (ECI) “People4Soil” è stata registrata oggi alla Commissione Europea: a partire da settembre è previsto il lancio della petizione che reclama dalle istituzioni europee l’adozione di una direttiva quadro sulla protezione dei suoli. La campagna durerà un anno e richiederà la raccolta di un milione di firme in tutti gli Stati Membri. Il network di People4Soil include una molteplicità di organizzazioni di tutta Europa: società scientifiche, organizzazioni di società civile, associazioni ambientaliste, di agricoltori, di promozione dell’agricoltura biologica.

Firmando la ECI i cittadini reclamano la tutela del suolo in quanto principale risorsa naturale del continente, in grado di garantire sicurezza e sovranità alimentare, accogliere biodiversità, mitigare il cambiamento climatico, assicurare la gestione dei rischi idrogeologici. Per queste ragioni è necessario e urgente sviluppare una cornice legislativa di tutela in grado di coprire le principali minacce qualierosione, impermeabilizzazione, perdita di humus, contaminazione, contenente misure coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, nonché con gli impegni globali in materia di mitigazione del cambiamento climatico.

Il suolo deve essere riconosciuto come un bene comune essenziale per la nostra vita, la sua conservazione deve diventare un impegno primario dalle istituzioni europee: questa è la richiesta sottoposta dalle oltre 300 organizzazioni, di tutti gli Stati Membri, che hanno già aderito all’iniziativa People4soil (www.people4soil.eu).

Per molti anni l’Unione Europea è stata un faro globale nelle politiche ambientali, in materia di inquinamento dell’acqua e dell’aria, conservazione della natura, riduzione dei rifiuti, rischi industriali. Oggi 500 milioni di cittadini vivono in un ambiente più sano grazie alle politiche europee. Noi cittadini europei ora chiediamo alle nostre istituzioni rappresentative di farsi carico del capitolo più decisivo: tutelare i suoli, contrastandone la cementificazione, il degrado e la contaminazione. L’Europa non è una bandiera ma un progetto: vogliamo essere cittadini di una Unione che si consolida a partire dalla tutela del bene comune”.

Dunia Permaculture con le donne di KÔ KELE e di A.F.P.A.B.Y: le custodi dell’ Albero Sacro

La storia del Karité è antica, intorno a questa pianta sono nate leggende e tante curiosità. Le popolazioni africane considerano l’albero del karitè un albero sacro e ne vietano il danneggiamento, infatti, il karité  non si deve mai tagliare. In particolare, la vita del villaggio delle popolazioni del Sahel (Africa Subsahariana) dipende da questo albero poiché la donna, da luglio a dicembre, lavora alla raccolta e preparazione del karité e quest’attività fornisce un reddito integrativo per numerose famiglie.

Per alcuni popoli, gli alberi contengono la forza e l’anima degli degli Dei. Per questo si rivolgono ad essi cantando e pregando.

“Secondo un antica leggenda una donna che non aveva figli e desiderava tanto averne uno si rivolse a uno di questi alberi cantandogli ancestrali preghiere. Una  vecchia che la sentì pregare e decise di aiutarla. L’anziana chiuse in una calebasse, ovvero una grossa zucca vuota, sette palline di burro di karitè. Per sette sere la donna dovette cantare una canzone davanti alla zucca; la settima sera alzò il coperchio e al posto del burro di karitè, vide una bellissima bambina bianca. Ma quella bambina, proprio perchè era fatta di burro, non doveva uscire alla luce del sole e non doveva lavorare.

Quando crebbe era così bella che molti principi la chiesero in sposa, ma solo uno di essi la sposò promettendo di non farla mai lavorare. Tutto andò bene finchè il principe non dovette partire e la lasciò nella reggia con le altre mogli che erano stanche di lavorare anche per lei e che cominciarono ad insultarla. Così la donna di burro uscì a lavorare e, con il sole, si fuse e tornò ad essere solo burro di karitè. Si dice che la sua anima sia tornata a vivere nell’albero di karitè, dove gli spiriti del burro possono essere utili agli uomini.”

Quindi custodi di questo albero magico sono le donne poiché solo loro hanno il potere di alleviare gli spiriti dell’albero con i loro canti e le loro danze. Raccolgono, schiacciano, cucinano, mescolano e lavorano le palle di karité per venderle sui mercati: il denaro del karité è esclusivamente quello delle donne. Questo denaro permette loro di comperare cibo, tessuti, spezie..

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Donne dell’associazione KÔ KELE nella capitale, e dell’associazione A.F.P.A.B.Y. nella provincia di Yatenga durante la raccolta, lavorazione e confezionamento del Burro di Karitè.

Le donne dell’associazione di KÔ KELE nel cuore della capitale del Burkina Faso (uno dei paesi più poveri dell’Africa) hanno riscoperto l’antico ritmo del Karitè come riscatto sociale in una società che spesso esclude le fasce più deboli fortemente colpite da un economia che produce povertà non solo economica ma soprattutto d’animo.  La situazione delle donne in Africa è centrale per lo sviluppo del continente. Le donne, per la loro determinazione a sostenere i figli nonostante l’assenza di fonti di reddito certe, le difficoltà per la perdita del compagno di vita , spesso totalmente analfabete, o contadine, durante la lunga stagione secca, con i loro campi aridi, non hanno alcuna possibilità di inventarsi un’attività. Esse sono spinte a trovare reddito in attività di sfruttamento o addirittura nella prostituzione assicurandosi, così, l’esclusione sociale e l’emarginazione per sé e per i propri figli.

Le associazioni KÔ KELE e A.F.P.A.B.Y, valorizzando le risorse umane ed ambientali presenti vuole mettere in valore il Karité e le competenze tradizionali contenendo la fuga dal proprio  paese attraverso l’emancipazione femminile migliorando l’alfabetizzazione, le competenze produttive e commerciali e assicurando reddito alle donne vedove per il sostentamento di sé e dei propri figli.

Dunia permaculture ha scelto di sostenere questo importante progetto di emancipazione socio-econimico femminile. Fisiologicamente ciò di cui abbiamo bisogno – la nostra natura profonda- è Pace, Amore, Solidarietà.  Scegli anche tu di sostenere la transizione oltre la sostenibilità!

Valentina Colarusso per Dunia Permaculture

BURRO DI KARITÈ 2017, BURKINA FASO

I nostri partners: Association KÔ KELE, Ouagadougou

CULTURE PERMANENTI PER UNA ECOLOGIA APPLICATA A SCALA PLANETARIA