Nel Sahel la terra è in gran parte semi-deserta, con solo 4-3 mesi di pioggia l’anno. Prima degli anni 70′ l’erba era sufficiente al mantenimento delle mandrie dei nomadi, e nelle regioni del sud si coltivavano miglio e sorgo, oltre a prodotti per la vendita come arachidi e cotone. Nel 1970, appena prima del collasso, questo ambiente fragile sosteneva una popolazione di 24 milioni di persone e di circa altrettanti animali; un terzo più di persone e circa il doppio di animali, rispetto a 40 anni prima.
L’agente del cambiamento è stata la siccità iniziata nel 1968 o oggi spaventosamente incalzante. Certamente le variazioni climatiche hanno avuto il loro ruolo in questa desertificazione che avanza verso sud ad una velocità di 30 miglia l’anno. Ma la causa principale è l’uomo. L’inizio della desertificazione si può individuare nella colonizzazione francese del 19o secolo quando le popolazioni del Sahel persero con l’indipendenza politica il controllo del loro territorio e dei loro pozzi.
Il Sahel era stato un tempo importante e fiorente. Cruciale per la vita nel Sahel era stata la grande capacità di adattamento all’ambiente semideserto. Fra i nomadi ed i contadini c’era una situazione di tipo simbiotico: le mandrie nei campi si nutrivano di ciò che rimaneva dopo il raccolto ed allo stesso tempo li concimavano. In cambio per il concime i nomadi ricevevano miglio dagli agricoltori.
Con le prime piogge l’eraba ricominciava a crescere e le mandrie si muovevano verso nord seguendo l’andamento delle piogge. Quando veniva raggiunto la frontiera nord del Sahel, si ricominciava il cammino verso sud, durante il quale si mangiava l’erba che nel frattempo era ricresciuta. All’arrivo nei terreni in cui si stava durante la stagione secca (8-9 mesi), le mandrie trovavano erba matura che permetteva loro di sopravvivere fino alla successiva stagione delle piogge. I percorsi seguiti ed il tempo passato intorno ad ogni pozzo erano fissati da regole tradizionali decise dai capi tribali, in modo da evitare il sovrasfruttamento dei pascoli. Questo evitava anche rischi di conflitti fra gruppi tribali e minimizzava il rischio di malattie. Una analoga saggezza avevano gli agricoltori. Sapevano lasciare la terra a maggese per lunghi periodi (fino a 20 anni) prima di ricoltivarla, ed avevano sviluppato una straordinaria quantità di varietà delle loro colture tradizionali, miglio e sorgo, ciascuna adatta a diverse stagioni e situazioni. Nei secoli passati la popolazione del Sahel ha dimostrato una impressionante capacità di innovazione.
Gli interventi occidentali sono stati vari: l’introduzione di un’economia basata sul denaro, la divisione del Sahel in stati diversi, con i conseguenti tentativi di sedentizzare i nomadi, di ridurne la libertà di movimento ed i passaggi attraverso i confini. Un grande impatto ha avuto l’aumento della popolazione sia umana che di animali dovuta all’introduzione della medicina occidentale. la popolazione del Sahel sta crescendo ad un tasso del 2.5% (si parla sempre del 1974), fra i più elevati nel mondo. Se i nomadi avessero accettato di uccidere più animali da vendere nel mercato, allora la popolazione di animali sarebbe stata contenuta. Il fatto è che gli animali sono il solo strumento di risparmio che il nomade ha, e quindi ha senso, a livello individuale, il mantenere il massimo numero di animali. Il risultato è stato che fra il 1960 ed il 1971 il numero dei bovini è cresciuto dai 18 ai 25 milioni, mentre il numero ottimo, secondo la Banca Mondiale, sarebbe di 15 milioni.
Contemporaneamente anche gli agricoltori sovrasfruttavano la terra. La crescita della popolazione e l’estendersi delle piantagioni di prodotti per l’esportazione (monocultura) ha portato alla coltivazione di terre marginali ed alla riduzione del tempo di maggese, da 15-20 anni a 1-5 anni. Così la fertilità declina, il suolo è più esposto a sole e vento, e comincia a perdere la propria struttura.
La pioggia quando arriva non è più assorbita e scorre via. Ci`o che le monoculture hanno fatto per l’agricoltura, i pozzi artesiani hanno fatto per l’allevamento. Sotto la superficie a circa 1000 piedi c’è la falda ricca di acqua. Migliaia di pozzi (a 200,000 dollari l’uno) sono stati scavati da benintenzionati donatori. L’effetto è stato quello di far sì che il pascolo, invece dell’acqua, diventasse il principale fattore limitante della dimensione delle mandrie. Ciò ha portato ad un sovrasfruttamento dei pascoli ed alla loro distruzione. Un numero crescente di animali ha finito per mangiare l’erba fino a danneggiare le stesse radici. C’è stato anche il problema della riduzione dei pascoli a causa dell’aumento dei terreni coltivati.
Presumibilmente quello che è successo è stato l’effetto congiunto di pi`u fenomeni: il rompersi degli equilibri tradizionali, l’aumento della popolazione, la minore limitazione alla dimensione delle mandrie dovuta ai pozzi. Questo ha fatto sì che il desiderio dei nomadi di non ridurre o di accrescere le loro mandrie abbia portato alla distruzione della risorsa pascolo. L’incremento del numero dei bovini da 18 a 25 milioni in una decina di anni è una conferma di questo.
La desertificazione è stata anche aumentata dal pesante taglio di legna per l’esportazione di legni pregiati.
Gli attori:
• Gli allevatori nomadi
• I contadini
• La Francia, potenza coloniale
• I paesi donatori e le loro Ong
• Le organizzazioni internazionali (Banca Mondiale)
Come in molti altri casi, anche qui il sistema tradizionale di gestione del potere e delle relazioni fra gli allevatori, e fra questi e gli agricoltori aveva nel tempo sviluppato un sistema efficiente e sostenibile di gestione delle risorse comuni. La rottura di questo sistema (confini, cambiamenti nell’agricoltura, . . . ), insieme all’aumento delle popolazioni e alla relativamente maggiore disponibilità di acqua, ha portato ad una maggiore competizione nell’uso delle risorse, ad un accrescimento delle mandrie, ed in presenza di una prolungata siccità ad un sovrasfruttamento dei pascoli.
Guarda il video:
Il Corridoio Verde del Sahel è un progetto che mira a combinare i bisogni della comunità con le esperienze tecniche e scientifiche fin ora avanzate nella lotta contro la desertificazione delle zone aride, al fine di selezionare le specie autoctone adatte su grande scala al restauro del capitale naturale. Questo è l’approccio che ha avuto successo nel Sahel come parte del programma “Grande Muraglia Verde dell’Africa”. Uno scudo ‘ecologico’ formato da oltre 7mila chilometri di alberi, da Dakar a Gibuti per fermare l’avanzata del deserto. La ‘Grande Muraglia Verde’ e’ l’ambizioso progetto su cui lavorano undici Paesi africani dell’area sahelo-sahariana, riuniti a Ndjamena, la capitale del Ciad, per fare il punto sugli sviluppi dell’inziativa. Un vertice quello dei capi di Stato e di governo dell’Agenzia panafricana della ‘Grande Muraglia Verde’, che si svolge sotto l’egida dell’Unione africana e della Comunita’ dei Paesi dell’area sahelo-sahariana, Cen-Sad, che punta a dare una risposta ‘africana’ al problema della desertificazione.
fonte:
-
Desertificazione del Sahel , Dipartimento di Informatica Università di Pisa:
-
A System Dynamics Study in Pastoral West Africa
-
Sahelian Drought: No Victory for Western Aid (1974)
-
Community participation and ecological criteria for selecting species and restoring natural capital with native species in the Sahel (Restoration Ecology, The journal of the society for ecological restoration)
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.